C’è forse qualcuno a Venezia che possa affermare oggi che sarebbe stato più opportuno non eseguire all’epoca il canale dei petroli?
C’è forse qualcuno a Venezia che possa affermare oggi che la città sarebbe in migliori condizioni senza lo scavo del sopramenzionato canale avendo mantenuta la vecchia rotta per tutte le navi, dalla bocca di porto di Lido attraverso il canale di san Nicolò, bacino di San Marco, canale della Giudecca e da ultimo con il canale Vittorio Emanuele 3° giungere a Marghera con i maggiori traffici e con le dimensioni raggiunte dalle navi di cui siamo stati testimoni?
È mia opinione è che nessuno onestamente potrebbe affermarlo!
Potrà essere affermato che la laguna (forse) potrebbe essere in uno stato migliore, ma non la città!
E allora ci si chieda se sarebbe più facile ripristinare l’attuale laguna o rimediare ai maggiori danni che inevitabilmente nel frattempo si sarebbero arrecati al monumento Venezia e di conseguenza alle difficoltà e spese ben superiori che la seconda ipotesi avrebbe comportato.
Sento di poter affermare che con le conoscenze ed i mezzi odierni, il ripristino ambientale della laguna sarebbe molto più semplice e sicuro, pur avendo tutti la consapevolezza che di punto in bianco nulla è possibile. Si miri ad una visione prospettica realistica e allora saranno accettate soluzioni temporanee che pur criticabili per certi versi, non possono essere eluse per il nulla.
Di recente ha ripreso vigore la polemica sul richiesto adeguamento del canale dei petroli per consentire il traffico delle navi crociera che si vuole togliere dalla attuale rotta davanti San Marco. Considerando opportuno a mio parere, mantenere a Venezia tutte le attuali attività marittime, queste sarebbero da programmare in un nuovo terminal portuale multifunzionale, in mare aperto davanti al litorale di Pellestrina collegato a Marghera e alla viabilità ordinaria della terraferma con dei tunnel sub lagunari, evitando in tal modo il traffico navale in laguna, salvo eccezioni per le grosse imbarcazioni da diporto, yacth e simili, dirette alla attuale marittima o per rifornire con modesto naviglio le industrie in attività a Marghera o per opportune chiatte con carichi eccezionali, con l’uso della conca di navigazione situata alla bocca di porto di Malamocco. La sola concreta prospettiva di tutto ciò, pur realizzabile nel lungo periodo, darebbe l’impulso per iniziare fin d’ora alcune importanti opere di ripristino ambientale in attesa di quelle più incisive da attuarsi in seguito, consentendo nell’attesa non solo il mantenimento ma pure il miglioramento della laguna.
L’adeguamento del canale dei petroli, per rendere possibile la commistione dei traffici così come già ho avuto modo di illustrare, consentirebbe accogliendo tutto il traffico navale comprese le navi crociera, di poter adeguare i varchi delle bocche di porto di Lido e Punta Sabbioni, nonché di Chioggia pur con diverse modalità, con soglie di accesso ben inferiori alle attuali.
Ma non solo. Già a ridosso delle strutture del Mose di Lido, e per tutto il tracciato dell’odierna rotta fino alla marittima, sarebbe opportuna la riduzione del fondale a circa la metà dell’attuale, con il solo accorgimento di mantenere una traccia di canale sufficiente ai modesti pescaggi delle imbarcazioni dirette ai bacini di carenaggio in Arsenale se ancora in funzione.
Già provvedere alla notevole riduzione dei fondali del percorso bocca di Lido-Marittima, eviterebbe parecchie attivazioni di tutto il sistema Mose, con ciò contribuendo ad una meno pressante gestione del medesimo che si sta rivelando non facile per vari motivi, tra cui i costi e gli imprevisti. D’altronde, proprio l’indicazione degli stessi progettisti, era stata di utilizzare l’apparato Mose con una certa prudenza e parsimonia.
È ottenibile quanto ho indicato sopra? Ricordiamoci della notevole quantità di fanghi che si renderebbero disponibili dall’adeguamento del canale dei petroli e di quei canali a seguire per completare il tracciato necessario a far giungere le navi crociera alla stazione marittima di Venezia. Se risultassero comprovate le informazioni in mio possesso sulla buona qualità di gran parte di essi, basterebbe stenderli lungo l’attuale rotta di cui ne ho auspicata la riduzione. E sarebbe anche opportuno rinchiudere tali fanghi in robuste grosse sacche di opportuno materiale.
Si avrebbe con ciò l’opportunità di disporre tali sacche in modo irregolare e in volumetrie variabili, e con ciò favorire il formarsi di turbolenze in grado, scontrandosi, di mitigare al meglio il flusso di marea. Anche perché, lasciando i fanghi senza protezioni, se ne vedrebbe nel tempo lo spianamento. Altro vantaggio ottenibile, quello di poter utilizzare fanghi anche di classificazione non proprio corretta, vista la modalità protettiva usata.
Quest’ultime considerazioni sull’uso dei fanghi con tali modalità per ottenere scabrosità mitigatrici della velocità della marea sarebbero di gran lunga da preferire all’uso di opere rigide, che mancando di flessibilità operativa, andrebbero a creare impatti con la marea troppo violenti, con ciò alterando notevolmente il delicato ambiente lagunare. Esempi emblematici di quanto indico, sono la notevolissima fossa creatasi in corrispondenza della “palada delle ceppe”alla bocca di Malamocco, e quella dirimpetto al forte di Sant’Andrea alla bocca di Lido, dovute entrambi allo scontro della marea contro ostacoli rigidi e inamovibili. Del nocivo aumento della velocità di marea si è preso atto anche quando di recente si è provveduto a sollevare in modo parziale il Mose alla bocca di Malamocco per consentire il transito di alcune navi dirette a Marghera con acqua alta.
Tutto ciò dovrebbe far considerare provvidenziale l’utilizzo dei fanghi quando possibile disporne, lasciando inalterato un suggerimento già illustrato dove ho indicato opportuno l’abbassamento del livello delle casse di colmata più interne al canale dei petroli per ricavarne una buona quantità, oltre ad aver maturato la nuova convinzione di utilizzare tutti i fanghi stoccati nell’omonima isola alla fine del canale dei petroli, concorrendo con il relativo spianamento, così come con l’abbassamento delle casse di colmata, ad aumentare il bacino di espansione lagunare.
Aggiungo quale inciso, memore della presenza ancora da ragazzo di una notevole naturale formazione fangosa a tratti parzialmente emergente che ancor oggi ben più modesta funge da argine tra il canale Orfanello ed il bacino di San Marco di fronte ai giardini di Castello, che ne reputo opportuno il suo ripristino. La sua presenza servirebbe quale difesa contro la spinta della marea proveniente dalla bocca di Malamocco, quando in funzione il Mose alle bocche di Lido.
Tale rilievo fangoso molto compatto era conosciuto con il nome di“ Sechere”.
Pur con le sole operazioni di contrasto alla diffusione della marea dai varchi di Lido e P.Sabbioni,nonché di Chioggia pur se meno determinanti, si consentirebbe di mettere a disposizione della marea proveniente dalla sola inalterata bocca di Malamocco l’intero bacino lagunare, venendosi ad ottenere tempi di saturazione notevolmente più elevati, fornendo maggior sicurezza alla città storica e lasciando al Mose di Malamocco intervenire nei casi di maggior pericolo.
Per completare le mie riflessioni sull’utilizzo dei fanghi chiusi in sacche per la riduzione delle bocche di porto, ritengo tale procedura in grado di fornire garanzie sufficienti al rispetto dell’ambiente, tali per cui poter usare fanghi di varia provenienza, per riservare quelli autoctoni, agli impieghi nella laguna più interna, certo più fragile e bisognosa di maggior cautela.
Inoltre il moderato adeguamento del canale dei petroli, che non andrebbe ad aggiungere una goccia a quanto già provvede di suo la bocca di porto di Malamocco, non modificabile per non compromettere il traffico navale, andrebbe a favorire ulteriormente, coadiuvato dal canale Tresse Nuovo e a seguire dai canali diffusori di marea oltre il ponte della libertà, l’impiego della laguna nord con i suoi vasti spazi, tali da divenire il vaso comunicante per la mitigazione naturale delle maree sostenute, con ciò potendo limitare le attivazioni del Mose.
Tali prospettive fanno risaltare a mio avviso, la complementarietà del sistema Mose con le misure che ho sempre illustrato in vari termini, che si sono rafforzate assistendo alle difficoltà emerse nelle recenti fasi di avvio funzionale dell’opera. Infatti è risultata evidente la difficoltà di far coesistere la messa in funzione del Mose con la necessità di non interrompere l’entrata delle navi in laguna.
Con il solo ripristino della conca di navigazione di Malamocco, ritenendola con le attuali dimensioni più che sufficiente quando a regime il porto off-shore, si renderebbe possibile anche la riduzione della soglia di accesso al canale dei petroli con grandi vantaggi per l’ambiente lagunare.
Infatti come non vedere nelle misure per la moderazione delle acque alte in autonomia dal Mose, l’ancora di salvezza per uscire da situazioni legate pur sempre all’imprevedibile?
Si consideri che con i miei soli provvedimenti, oltre un certo livello di marea,Venezia verrebbe inevitabilmente comunque allagata, ma qualora ci fosse il cedimento anche di una sola paratoia alla bocca di Lido in caso di alta marea eccezionale, o di un suo mancato sollevamento come successo a Malamocco durante una delle prime prove di collaudo, non oso pensare al disastro possibile.
In questa evenienza, aver provveduto a ridurre notevolmente i fondali rendendoli molto scabrosi, almeno per ora nella fascia a protezione della parte più sensibile della città, darebbe una notevole garanzia protettiva altrimenti inimmaginabile.
Altro elemento molto importante riguarda quanto l’Autorità di sistema portuale ha commissionato, e non da oggi, ad un noto studio di ingegneria veneziano, per risolvere il problema dell’interramento del canale dei petroli dovuto principalmente all’erosione delle casse di colmata che ne costituiscono una delle sponde. Ma accanto ai buoni risultati che verrebbero assicurati, non posso fare a meno di notare che sarebbero il risultato di un incarico retribuito, e che certamente non potrà che dover soddisfare il committente. Tale committente, quale obbligo istituzionale, deve provvedere a creare o mantenere le condizioni ottimali affinché le attività portuali debbano potersi svolgere al meglio. A fronte di tale mandato, si pone per contro l’imperativo di rispettare l’integrità di Venezia e della laguna, non facendo mancare a quest’ultima l’irrinunciabile ed indispensabile funzione di presidio di salvaguardia della città.
Nell’ esprimere le mie opinioni ed osservazioni sulle opere di adeguamento del canale dei petroli per far continuare le attività portuali senza ulteriori gravi danni collaterali, continuo a segnalare che senza progetti a medio e lungo termine, il porto di Venezia è destinato a scomparire.
Sarà sufficiente che si stabilizzi un modesto aumento del comune marino, e il probabile conseguente intensificarsi delle chiusure del Mose diverrà ostacolo insormontabile.
Tale considerazione mi porta all’epoca in cui, contrario al progetto Mose, ebbi a presentare la mia soluzione alternativa senza la finalità di lasciare il mare fuori di casa chiudendo la porta. La esposi a quanti ritenevo potessero ascoltarmi, indicandola ancor oggi, arricchita dall’ampio dibattito seguitone, quale via d’uscita per tenere in vita più a lungo il suo porto fornendogli un futuro.
In altra trattazione titolata “Nuovi interventi per ottenere la moderazione delle acque alte a Venezia in autonomia dal Mose” ho esposto le semplici e coordinate misure per raggiungere gli obbiettivi che continuo ad indicare. Certo lo dico con molta franchezza, se dovessero maturare certe previsioni, non sarà certo la sola Venezia a soffrirne! Di conseguenza, ancor oggi continuo ad evidenziare quanto a mio parere è possibile fare per mantenere almeno le attuali condizioni della città e del suo porto quanto più a lungo possibile.
Perciò di fronte a fosche previsioni, risulta comprensibile che si cerchi di sfruttare le rendite di posizione a Venezia quanto più possibile, investendo il minimo e mai in forma superiore alle aspettative di breve periodo. In quest’ottica le stesse compagnie di navigazione che gestiscono il traffico delle grandi navi crociera trovano comodo, e forse alimentano intenzionalmente, l’allucinante dibattito su come intervenire per trovare una nuova rotta più rispettosa della città e della laguna. Loro non hanno fretta, sono salvaguardate. Succedesse qualcosa di grave andrebbero altrove! Più complessa la situazione per la zona industriale di Marghera.
Non posso credere che, come riporta la stampa, esistendo importanti piani di sviluppo industriale, si debba dare la precedenza all’economia legata alle navi crociera, con l’ipotesi della concessione di spazi lungo le banchine industriali e commerciali quali approdi turistici.
Un turismo navale che incide in percentuale non determinante sull’economia non solo cittadina, qualora non riuscisse a convivere con altri settori economici diversi, trovo giusto venga considerato elemento intruso e destabilizzante. E si badi che lo affermo con sommo dispiacere. Se presto non verranno indicate soluzioni in grado di contemperare le varie esigenze del porto di Venezia con la città e la sua laguna, avranno avuto ben ragione ad aver approntato l’alternativa per scappare.
Nella vicina regione Friuli Venezia Giulia, favoriti da scelte politiche, sono già pronti. Dopo gli interventi alla rete stradale e ferroviaria che servono gli interporti con centri logistici d’ avanguardia creati nell’immediato entroterra della loro costa, attendono il momento della crisi di Venezia, per adeguare a Trieste e creare a Monfalcone le strutture a mare necessarie; Poi per Venezia non resterà che dipendere dalle briciole che lasceranno.
Tornando a casa nostra, rivolgo ora l’attenzione su come, secondo la mia opinione, rendere percorribile in sicurezza il canale dei petroli mantenendo l’erosione a livelli accettabili (fintanto che ci saranno navi in laguna non c’è modo di evitarlo completamente).
Se non ci si discosta dal ristretto obbiettivo che le autorità portuali si sono date, non se ne verrà a capo. Si deve avere una finalità più ampia del solo risolvere la percorrenza del canale.
Lo vado dicendo da anni che il problema non è il canale di per se, ed in questo lo studio di ingegneria incaricato del progetto ha evidenziato un cardine del problema affermando che il suo adeguamento per rendere più sicura la navigazione non porterà maggior carico di marea in laguna. L’eccesso di marea dipende principalmente dalle dimensioni e conformazione ( leggi dighe foranee) in particolare della bocca di porto di Malamocco, mentre al contrario l’ adeguamento del canale dei petroli farà diminuire la velocità della massa d’acqua comunque destinata ad entrare in laguna, oltre a dare maggior sicurezza alla navigazione. Ai molti che ignorando o volendo ignorare, sostengono a priori la dannosità del provvedimento di adeguamento, dico che allargando notevolmente le scarpate del canale, mettendole in grado di potersi ben inoltrare oltre i bordi del medesimo, si verrà a creare un impatto meno violento e più progressivo dell’espansione dell’onda, con ciò sollevando meno fanghi e di quelli sollevati, una minor quantità verrà risucchiata in canale e uscirà in mare. Certo, si realizzerebbe un bel sogno tornando ad avere la laguna che ricordiamo, ma si dovrà decidere se vivere di solo turismo e di quale! Pensiamoci, le soluzioni ci sono, per il porto e per il turismo. Si decida, si abbia coraggio! In modo ragionevole ovviamente, non esistono al mondo località fortemente antropiche a totale disposizione di una sparuta elite di privilegiati.
Ma è sulle misure da prendere per limitare l’erosione sia dei bassi fondali lato laguna, sia principalmente delle sponde delle casse di colmata sul lato opposto nel canale dei petroli, che si evidenziano i limiti del progetto di adeguamento. Se come viene detto, non si provvederà ad accrescere la dimensione complessiva del canale, le difese illustrate contro le erosioni serviranno a ben poco. In primo luogo con una cunetta inalterata continueranno a spingere sulle scarpate le eliche dei rimorchiatori e quelle in particolare delle navi crociera che avvertendo per le loro alte murate anche venti laterali di media intensità, verrebbero portate fuori dell’asse del canale, e venirsi a trovate di conseguenza leggermente di traverso, con la necessità di frequenti correzioni di rotta. Ma se le corrosioni saranno modeste nei bassi fondali che fiancheggiano il canale lato laguna, essendo già scomparsi da un bel po’ i sedimenti fangosi di superficie lasciando col tempo in evidenza strati più compatti, non altrettanto sarà per le scarpate sottostanti e specialmente per le sponde delle casse di colmata, che con una quota superiore al livello del canale, sono più sollecitate dal moto ondoso di superficie che vi si infrange, creando in tal modo corrosioni ben maggiori.
Non aumentando notevolmente l’ampiezza dell’inclinazione di tali scarpate, nel contesto dell’aumento complessivo del canale, saranno inutili sia le palancole che i massi a protezione.
Con le prime, per effetto dell’aumento violento della massa d’acqua generata dal passaggio della nave, verrà a crearsi una pari riflessione dell’onda formando un risucchio che si trascinerà un bel po’ di fanghi andando ad indebolire la gengiva di appoggio su cui si elevano le stesse palancole. Poco meno violento tale fenomeno con i massi, per la loro minor superficie d’impatto e per la loro scabrosità in grado di generare una minore riflessione dell’onda. Mica però è finita qui.
Hanno previsto, per non fare arrivare l’onda di espansione ad incidere sul ciglio fangoso della cassa di colmata che funge pur sempre da argine del canale navigabile, che la barriera dei massi debba essere stesa sotto il livello dell’acqua. D’altronde fosse posizionata in emersione oltre il ciglio fangoso certo non sarebbe da considerare compatibile con l’ambiente lagunare.
Cosa è prevedibile possa avvenire negando di voler allargare il canale, con la rinuncia in tal modo ad ottenere una notevole maggior ampiezza dell’inclinazione delle scarpate?
Sarebbe già una limitazione dei danni, se l’onda di espansione superando l’ostacolo dei massi andasse a scaricarsi sul ciglio della cassa di colmata, trascinandosi una certa quantità di fanghi.
Se il volume della barriera di macigni fosse invece tale da opporre maggiore resistenza, con ogni probabilità, all’inizio in forma strisciante ma in seguito in forma esponenziale, si andrebbero a formare delle cavità sottostanti i macigni, tanto da prevederne lo slittamento lungo le scarpate.
Perciò, concludendo sull’argomento, si avverte l’impegno dell’Autorità portuale a voler facilitare il traffico nel canale dei petroli, si avverte l’impegno dello studio incaricato a cercare tale risultato anche contro consolidate convinzioni contrarie, ma così come fatto conoscere , tale progetto a mio parere non raggiunge lo scopo. A meno che, come maliziosamente sussurrato da qualcuno memore di prassi già viste, non si voglia dopo aver indicato talune soluzioni, in silenzio fare tutt’altro.
A corollario di quanto esaltato dalla stampa avendo spesso definito un’autostrada il progetto di adeguamento del canale dei petroli, trovo l’affermazione non pertinente.
In laguna non è possibile tale comparazione, in mancanza di adeguati canali non ci sarebbe il porto!
Dopo aver illustrato gli ostacoli a mio avviso più evidenti per arrivare ad un compromesso utile a risolvere il problema canale dei petroli, con ciò potendo guadagnare tempo per discutere su che altro fare avendo mantenuto nel frattempo in modo più efficiente e sostenibile le attuali attività portuali, intendo concludere con delle brevi considerazioni sui costi per realizzare quanto indicato.
In effetti tali costi, che mai ho ipotizzato per mia inadeguatezza, si saranno certamente
gonfiati con il procedere della elaborazione dell’originale “Piano per la salvaguardia globale di Venezia e delle sua laguna”di mia proprietà intellettuale quale opera d’ingegno.
Considero tale mio piano ancor oggi certamente in grado di far fronte alle aspettative di Venezia per notevole tempo, essendomi impegnato negli anni ad ipotizzare variabili più incisive anche in simbiosi col Mose, con ulteriori iniziative in grado di sviluppare un grande polo logistico e turistico.
Mi limiterò ad evidenziare le tre maggiori variabili maturate negli ultimi tempi, con cui si andrebbe a ridurre notevolmente il costo totale ed i tempi di esecuzione dell’intera opera, senza comunque mancare di raggiungere gli obbiettivi essenziali.
La prima riguarda la dimensione della nuova area portuale, che potendosi sviluppare più ridotta accostata in località S.Maria del Mare nell’isola di Pallestrina come indicata in origine, necessiterebbe di un percorso in tunnel per collegarsi alla terraferma più breve.
La seconda variabile riguarda l’esclusione del collegamento all’area portuale con apposita metro sub lagunare, potendosi svolgere con mezzi su gomma nei tunnel del collegamento stradale.
Stesse considerazioni per la rete sub lagunare della metro, ipotizzata per servire la Venezia storica dai capolinea di Fusina e S.Giuliano, potendo contare sulle modalità di trasporto attuali.
Terza variabile, l’esclusione della pista aeroportuale realizzabile con l’opportuno adeguamento della diga foranea per ottenere la grande darsena in cui sviluppare l’area portuale.
Continuo invece a ritenere ottimale il collegamento anche con singola linea ferroviaria sub lagunare quale navetta con Marghera, in grado di svolgere un servizio strategico per il porto.
Termino ponendo in evidenza la facoltà di intervenire nel tempo, qualora si ritenesse opportuno, per integrare o modificare le variabili su cui ritengo si possa ora soprassedere.
Cavallino Treporti Giugno 2021
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